Pugile è un sostantivo non un aggettivo

Pugile è un sostantivo non un aggettivo

Articolo di Stefano Buttafuoco

I due fratelli Bianchi colpevoli del disumano omicidio perpetuato nei confronti del giovane Willy non sono pugili.

“Pugile” è un sostantivo, non è un aggettivo.

L’aggettivo indica una qualità, una caratteristica: “maledetto”, “infame”, “vigliacco”. Questo sono aggettivi e loro sono tutto questo.

Pugile è diverso, è un sostantivo ed indica una persona, una cosa, un luogo, un’entità precisa e loro non sono pugili non essendo affiliati alla Federazione Pugilistica Italiana.

Nonostante ciò tante, troppe testate giornalistiche si sono affrettate a etichettarli come tali.

Il titolo conta nel successo di un articolo, sono un giornalista lo so.

Ma davanti a certe drammatiche situazioni dovrebbe prevalere la logica dell’umanità, del buon senso, della correttezza, del rispetto per la verità.

Dico questo per diversi motivi.

Il mio è in primo luogo un atto di difesa nei confronti della Federazione Pugilistica Italiana, spesso in maniera anonima protagonista di tante iniziative solidali essendo una federazione più di altre impegnate nel sociale e sul territorio. Perchè di queste si trova cosi tante difficoltà a parlarne ? Perché si parla di boxe solo in occasioni come questa ?

Ma non solo.

Infangare i valori della noble art ha una sua ricaduta economica su tante famiglie. 

Mi riferisco al danno sopportato dai titolari di palestre che dalla errata trattazione di questi episodi subiscono gravi conseguenze.

Anni impegnati ad insegnare l’importanza del rispetto dell’avversario, della lealtà, del sacrificio, vanificati da un titolo demagogico che azzerra tutto in un istante.

Non è accettabile tutto questo.

Un addetto ai lavori può passare sopra a tanta superficialità essendo abituato a simili impropri accostamenti, un genitore che sta pensando di iscrivere per la prima volta suo figlio in una palestra di pugilato probabilmente no. Ed allora magari per educare il suo tesoro più grande tenderà ad orientarsi altrove facendo prevalere il pregiudizio indotto da un’informazione sbagliata.

C’è infine un discorso più ampio di credibilità di categoria.

I social hanno reso spesso la comunicazione gretta e populista.

L’ordine dei giornalisti è stato istituito (anche) per garantire una qualità della informazione troppo spesso storpiata da soggetti improvvisati che poco hanno a che fare con un tema serio come quello della comunicazione.

Ebbene, se anche prestigiose testate abbassano la qualità dei loro messaggi ed i relativi controlli allora siamo veramente alla fine.

Le vie di uscita ?

Solo una: ridiamo valore e dignità alla professionalità, alla serietà di chi scrive e comunica, alla sua correttezzaà deontologica.

Meglio un “like” o una copia in meno che un titolo pensato solo per fare presa su una massa becera e facilmente influenzabile.

Quella di far alzare il livello culturale di una società è il primo compito di noi giornalisti, non scordiamocelo mai, se non altro per i nostri figli e per le generazioni future.

E’ una responsabilità importante ma anche un privilegio che da un senso alla nostra professione che non è per tutti, un pò come il pugilato.

Stefano Buttafuoco

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