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Wladimir Klitschko appende i guantoni al chiodo
secondo match con Anthony Joshua, il suo quinto vincitore. All’ukraino va il merito di aver svelato pregi e difetti del suo successore inglese, che ha rischiato il crollo al VI round e che era in svantaggio di due punti quando è stato fermato il match all’ XI round. Oggi grazie a Wladimir non si parla più di un mostro creato come una sorta di robocop, Joshua è costretto a dimostrare il suo valore con più di un punto interrogativo. Buon per lui che il panorama mondiale non sembra offrire molto. Ma nei massimi si sa a volte basta un solo colpo per fare banco e rimettere tutto in discussione: esiste il più forte, ma non l’imbattibile. Rocky Marciano è stato l’unico esempio e forse rimarrà nella storia ancora per molto. Quando si parla di Wladimir non bisogna dimenticare il suo periodo sotto la guida di un grande allenatore come Emanuel Steward, chiamato al suo “capezzale” dopo le sconfitte prima del limite subite da Corrie Sanders e Lamon Brewster. Steward lo ricostruì nel morale, correggendo alcuni difetti di impostazione che sguarniva la mascella di uno scudo protettivo più efficace. Dal 2005 in poi è stata una cavalcata trionfale fino alle due ultime sconfitte, subite più per l’età che per il valore degli avversari.
di Alfredo Bruno
Foto di Fabio Bozzani