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L’analisi tecnica dell’onorevole sconfitta di Emanuele Blandamura
Emanuele Blandamura non ce l’ha fatta.
Sul ring di Yokohama, in Giappone, il trentottenne pugile italiano è stato sconfitto per Kot all’ottava ripresa dal campione mondiale in carica dei pesi medi Ryota Murata.
Si è trattato di un match in cui – fin dalle prime battute – è stata evidente la differenza di potenza tra i due contendenti.
Blandamura saliva sul ring concedendo cinque centimetri di allungo al suo avversario e circa tre chilogrammi di peso, non proprio poca cosa.
Generosamente ha cercato di sopperire a questo divario con un efficace gioco di gambe e conservando sempre una guardia molto alta ed accorta, ma non è stato sufficiente.
Il giapponese, pur senza brillare in spettacolarità e fantasia pugilistica, ha sempre avuto il controllo del match confermando tutte quelle qualità che gli avevano permesso di conquistare la medaglia d’oro olimpica prima (a Londra nel 2012) ed il campionato del mondo da professionista poi: concretezza, essenzialità ed esplosività.
L’epilogo al termine dell’ottava ripresa quando il pugile friulano ma di adozione romano (vive al quartiere Nuovo Salario da quando aveva meno di un anno) è stato centrato da un chirurgico gancio destro che lo metteva al tappeto e che induceva l’arbitro ad interrompere l’incontro anche se l’italiano stoicamente trovava le forze per rialzarsi.
Peccato, mancavano solo 4 secondi alla conclusione del round, ma nessuno dell’angolo di Blandamura ha contestato la decisione apparsa ragionevole e di buon senso anche in considerazione dell’andamento fino a quel momento della sfida.
Nella gloriosa storia del pugilato italiano, tre soli pugili erano riusciti a conquistare la cintura iridata in quella che è considerata la categoria di peso più prestigiosa.
Il primo a riuscirci fu Nino Benvenuti che il 17 Aprile del 1964 – sul ring del Madison Square Garden – sconfisse ai punti in un match indimenticabile l’americano Emilie Griffith.
Dopo di lui Vito Antuofermo, che il 30 Giugno del 1979 si impose sull’argentino Hugo Pastor Corro.
Infine fu la volta di Sumbu Kalambay che il 23 Ottobre del 1987 ebbe la meglio su lo statunitense Iron Barkley.
Leggende della boxe italiana che – anche se in maniera diversa – hanno fatto la storia del pugilato.
Emanuele Blandamura (27-3-0) – già Campione Europeo di categoria – ha cercato di seguire le loro orme e nonostante l’esito non sia stato lo stesso va comunque elogiato con forza per l’orgoglio con il quale si è battuto.
Di sei anni più giovane di lui, il pugile giapponese si è dimostrato nel complesso semplicemente più forte difendendo per la prima volta la corona mondiale conquistata il 22 Ottobre del 2017 contro Hassam N’Dam N’Jikam, dopo soli quattordici match da professionista.
L’italiano ha fatto il possibile ma la maggiore fisicità del suo avversario si è rivelata un ostacolo insormontabile.
Avrebbe magari potuto evitare la media e lunga distanza, cercando con maggiore decisione di accorciare ma questa non è mai stata la boxe di Emanuele Blandamura e con ogni probabilità l’esito dell’incontro sarebbe stato lo stesso.
Nessuna recriminazione dunque, solo la consapevolezza di aver incontrato un atleta che il nostro stesso portacolori – al termine del combattimento – ha riconosciuto essere superiore.
Per l’ottimo Murata si aprono ora le strade degli Stati Uniti.
Bob Arum già prima del match aveva parlato di una sfida da organizzare entro l’anno per farlo conoscere all’esigente pubblico a stelle e strisce.
L’obiettivo è una sfida contro uno dei “mostri” sacri della categoria, Golovkin, Saunders o Alvarez.
Solo allora si saprà se quella di stasera è stata vera gloria.
Stefano Buttafuoco