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Intervista a Remigio Ruggeri, ex arbitro internazionale
di Vezio Romano
Cinquantaquattro anni di attività come arbitro e giudice con migliaia di combattimenti alle spalle: questa è la straordinaria carriera di Remigio Ruggeri, nato a Terni nel 1938.
D. Ruggeri, come è iniziata la sua passione per il pugilato?
R. Appartengo ad una famiglia nella quale il pugilato è stato sempre molto importante. Mio fratello maggiore Renzo è stato campione italiano dilettanti nel 1953, ha indossato più volte la maglia azzurra e, fra le sue vittorie, ricordo la medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo nel 1951. Alcuni anni fa l’allora direttore di Boxe Ring Roberto Fazi, a mio parere il più grande giornalista italiano di boxe di sempre, inserì Renzo nella sua graduatoria dei migliori dilettanti italiani di tutti i tempi per la categoria dei pesi welter. Mio cognato Amleto Falcinelli, marito di mia sorella Erinna, campione italiano professionisti dei pesi gallo, è stato un pugile molto popolare negli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso. All’epoca erano pochi i pugili italiani che venivano chiamati ad esibirsi all’estero ma Amleto, tecnico e spettacolare, combatté in Spagna, Francia, Gran Bretagna, Tunisia e Australia. La tradizione continua con mio figlio Paolo che è attualmente arbitro della Fpi e della Ibf.
D. Quando ha cominciato ad arbitrare?
R. Negli anni sessanta in Umbria mancavano gli arbitri e il Comitato Regionale mi convinse a frequentare a Roma il Corso Arbitri della Fpi. Nel 1964 ho iniziato con i dilettanti e dopo pochi anni sono passato anche ai professionisti. In questo settore mi sono trovato subito molto bene e devo dire che ho ricevuto più volte lusinghieri apprezzamenti dai dirigenti della Fpi. Ho diretto 15 Titoli Italiani in diverse categorie di peso. Nel 1997 sono diventato arbitro e giudice della International Boxing Federation. Complessivamente ho prestato servizio 30 volte come arbitro e 48 come giudice in Titoli Internazionali e Mondiali. Ho terminato nel 2018.
D. Fra i campioni che ha arbitrato quale le è piaciuto più?
R. Ritengo che, quando si arbitra, non si debba pensare al valore dei pugili: occorre valutare l’incontro, non gli atleti. Sul ring bisogna essere spersonalizzati: mai farsi influenzare dal carisma di un campione. Comunque, nella mia attività nella Ibf, ho avuto l’onore di arbitrare molti pugili di indubbio valore.
D. Quali incontri ricorda in particolare?
R. Non è facile rispondere. Me ne vengono in mente due. Il primo lo ricordo per una ragione “sentimentale”, Gary Jacobs contro Yuri Epifantsev a Londra, precisamente a Kensington, nel 1997. Quando sono salito sul ring ho provato una particolare emozione pensando che in quello stesso impianto aveva combattuto mio cognato Amleto quasi 50 anni prima. Il secondo è Idrissa Kabore contro Badre Belhaja; eravamo nel Burkina Faso, in Africa. Il match fu molto duro e impegnativo da arbitrare e il caldo era infernale; quindi un grande sforzo per gli atleti ed anche per me.
D. Nel pugilato lei è intervenuto anche come sponsor, è esatto?
R. Mio figlio Riccardo aveva fondato l’Associazione “Omega Boxe” ed io la sostenevo attraverso la mia azienda di impianti elettrici industriali. Come molti ricordano, non ho mai avuto un occhio di riguardo per i pugili di mio figlio. Anzi, alcuni sostenevano che li trattavo più severamente degli altri.
D. Come vede la situazione attuale del pugilato italiano?
R. E’ un momento difficile e lo era anche prima della pandemia. Occorre un grande sforzo dei dirigenti per ricreare considerazione per il pugilato, soprattutto nel settore professionistico.
Nella foto Ruggeri mentre arbitra Giovanni Parisi contro il colombiano Acosta