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Il fotoreporter Fabio Bozzani ha incontrato Julius Indongo in Namibia
Windhoeck, Agosto 2017 – Lo definiscono il mal d’Africa. Affascinante richiamo verso un continente dalle mille sfaccettature, ricco e poverissimo, che nasconde spesso talenti sportivi. Fabio Bozzani, fotoreporter a tutto campo, innamorato del Continente Nero, l’ha visitato a più riprese. Stavolta il suo viaggio ha come meta la Namibia, nazione indipendente dal 1990. In Namibia, Bozzani ha scoperto un atleta che nel mondo dei guantoni, è stato capace di conquistare tre cinture mondiali sul ring dei suoi avversari. Il suo nome è Julius Indongo, nato nel 1983 nella regione di Oshana, trasferitosi nella capitale Windhoek, in giovane età, dove conclude gli studi e inizia la boxe. Fin da dilettante fa intravvedere doti notevoli, meritandosi la nazionale, campione namibiano nei gallo.. Titolare nei leggeri ai Giochi Africani nel 2007, giunge ai quarti e ottiene il pass per le olimpiadi di Pechino 2008. Con poca fortuna. L’anno dopo, nel 2009, passa professionista. Fabio è andato a trovarlo a Windhoek, dove Indongo, tra un incontro e l’altro svolge il ruolo di ufficiale di polizia, in particolare organizza manifestazioni sportive e dirige il gruppo degli atleti militari.
Da qui inizia il racconto di Julius Indongo a Fabio Bozzani
“Alla richiesta di intervistare il campione, la direzione dove opera – ricorda Bozzani – è rimasta sorpresa. Era la prima volta che un giornalista straniero si interessava a Indongo. Quando lo incontro, dimostra grande disponibilità e un sorriso accattivante. “Provengo da un famiglia non certo ricca, penultimo di cinque fratelli, tre maschi e due femmine. Papà muore che avevo due anni. Dopo gli studi obbligatori, entro in polizia e inizio con la boxe. Nei dilettanti ho combattuto molto spesso all’estero, perché in Namibia il pugilato come gli altri sport non hanno strutture per organizzare riunioni in periferia, salvo gli eventi d’importanza internazionale dove viene usato lo stadio della capitale.
Ha preso parte alle olimpiadi di Pechino 2008, quindi una carriera di prestigio pure da dilettante.
“Anche se eravamo solo due namibiani presenti per il pugilato, il massimo che mi ha fruttato è stato l’invito di Radio Oshiwambo a commentare, nella mia lingua madre gli incontri importanti, non altro. Comunque quell’incarico mi faceva sognare”.
Da professionista come superleggero disputa 20 incontri in patria, li vince tutti spesso per KO e la IBF lo indica come sfidante ufficiale del campione il russo Eduard Troyanovsky, dal record immacolato come lui. Combatte nella tana del campione a Mosca e lo spedisce ko alla prima ripresa.
Come venne accolto al ritorno a casa?
“Dagli amici e dai miei famigliari, la mia compagna e i tre figli, due maschi e una bambina. Di televisioni neppure l’ombra. Lo stesso anche quando sono tornato da Glasgow in Scozia lo scorso aprile, dove ho battuto il beniamino di casa Ricky Burns, portando in patria anche la cintura WBA. Qualche amico in più ma nessuna emittente. La boxe non è così popolare, ma piace ai giovani. Siamo un paese giovane con poche risorse. Tocca anche a me farlo crescere, vincendo all’estero titoli importanti. Nessuno era riuscito a conquistare tre titoli mondiali”.
Non è andata altrettanto bene a Lincolm negli Usa, dove un superlativo Terence Crawford, in lizza per il riconoscimento di miglior pugile assoluto dell’anno, l’ha costretto alla resa. Anche se resta la consolazione di una borsa realmente sostanziosa.
“Ero partito per vincere. Mi ero allenato in modo perfetto. Non lo ritenevo così bravo. Ci ho provato e l’ho anche colpito duro all’inizio, ma lui non ha ceduto. Quando ha reagito è stato micidiale. Non avevo mai provato tanto dolore e la sconfitta è stata pesante. Ma ho perso una battaglia e non mi arrendo certamente. Resto uno dei migliori superleggeri al mondo. Per quanto riguarda la borsa era chiaro che non mettevo in palio tre cinture mondiali per pochi soldi. Posso ritenermi un uomo ricco, assicurando alla famiglia un futuro senza problemi. Non solo, una parte del mio guadagno l’ho devoluta alla costruzione di strutture sportive e palestre nei villaggi, per offrire ai ragazzi di praticare il pugilato. Questo è l’aspetto che mi inorgoglisce”.
I suoi idoli pugilistici?
“ Nessuno in particolare, anche se ammiro molto i campioni che hanno saputo ampliare la loro popolarità oltre la boxe. In particolare mi riferisco al filippino Manny Pacquiao, Alexis Arguello, il massimo ucraino Vitalij Klitschko. Campioni che partendo dallo sport, in particolare il pugilato, sono diventati esempi positivi per la loro nazione. Per questo non escludo, una volta smessa l’attività agonistica di entrare in politica, per aiutare a far crescere la mia patria”.
Di cosa ha bisogno la Namibia?
“Siamo uno stato giovanissimo, quindi agli albori dello sviluppo. Ci vogliono investimenti produttivi in ogni settore, dall’edilizia all’agricoltura, servono tecnologie all’avanguardia,dobbiamo aprire nuove scuole, nelle zone meno sviluppate del Paese. Dobbiamo essere noi a muoverci, a dare una mano. Gli stranieri possono aiutarci, ma pretendono il loro tornaconto. Possono andare bene per un certo tempo, poi tocca ai namibiani fare il salto di qualità. Ci sono le condizioni e vedo che qualcosa si muove, ma guai a fermarsi”.
E’ mai stato in Italia?
“Ho visto gli aeroporti di Roma e Milano, prima di imbarcarmi per altre nazioni, ma dai libri e dalle riviste ho saputo che l’Italia è una delle nazioni più belle al mondo. Ci sono città uniche come Roma, Firenze e Venezia, ma anche Milano, una delle capitali europee degli affari. Per questo ho in programma con la famiglia di venirla a conoscere a tempi brevi”.
La Namibia cosa offre?
“Tantissime cose. Il clima in particolare e la semplicità della gente, disponibile e sempre gentile. Stiamo crescendo ma dobbiamo fare di più. Vengo a sapere da lei che anni addietro la nazionale italiana di atletica leggera veniva ad allenarsi a Windhoek in inverno, per il clima mite. Perché non lanciare il messaggio a tutto il mondo?
Potendo scegliere, dove avrebbe voluto nascere?
“Nello stesso villaggio dove ho visto la luce e fare l’identico percorso che mi ha accompagnato dalla fanciullezza ad oggi. Mi sento un uomo fortunato, per questo sento forte l’impegno di far crescere la mia patria. Abbiamo bisogno di tutto, perché siamo giovani, ma questo non ci deve frenare, semmai il contrario. Ho devoluto parte della borsa guadagnata nell’ultimo incontro, consapevole che costruire strutture e aprire palestre sia la strada migliore per portare i giovani allo sport e toglierli dalla strada. Lo sport insegna a soffrire per raggiungere traguardi. Il pugilato su tutti, come è accaduto a me”.
Fotoservizio di Fabio Bozzani
Prefazione di Giuliano Orlando