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Questi nostri maestri: intervista a Stefano Vagni
Da poco si sono riaperte le palestre con la dovuta prudenza e con i dovuti accorgimenti. Torniamo a far parlare i protagonisti del variegato mondo della boxe. Stavolta il colloquio, sia pure telefonico, è con uno dei tecnici, o meglio dei maestri, tra i più noti del ranking laziale e nazionale. Stefano Vagni insieme a Pasquale Milone è il fondatore de “Il Gladiatore-Boxe Academy” società nata nel 2004 con sede in Viale Enrico Ortolani 192, zona Dragona-Acilia. La trafila di Vagni è quella classica da pugile a insegnante, accumulando una grande esperienza grazie ad una carriera da primattore “sul ring”.
“La mia prima palestra è stata la Coletta e Nardiello, dove in pratica ho iniziato nel 1983-84. A farmi decidere era il mio fisico piuttosto magro, ero un ragazzo sui 14-15 anni. Allora non c’era la cultura dei pesi e ho iniziato per mettere qualche muscoletto, poi devo dire di averci provato gusto e di essere entrato in una grande famiglia”.
All’epoca la Coletta e Nardiello era una delle società più gettonate dove si allenava gente del calibro di Vincenzo Nardiello e Mauro Galvano, futuri campioni del mondo, e di Giulio Coletta, attuale responsabile della Nazionale maschile.
“Presi questa decisione perché la Coletta e Nardiello era una delle palestre più vicine per me che abitavo a Fiumicino”.
La Coletta e Nardiello era una delle Società più famose. Quale era il suo segreto?
“Il segreto di quella Società secondo me è stato sempre il maestro. Raffaele Nardiello sotto l’aspetto tecnico era molto meticoloso. Era meticoloso anche sotto l’aspetto formale come persona. Io posso dire di essere stato fortunato, perché mi ha cresciuto come un figlio, mi ha portato con se anche al lavoro al Cantiere Navale. Poi a 18 anni mi ha fatto fare un provino alle Fiamme Oro. Ogni settimana mi dava dei soldi, perchè io venivo da una famiglia umile, e lui aveva preso a cuore la mia situazione. Ancora oggi ogni tanto mi viene a trovare. Mi ha portato il nipote per allenarsi, è molto bravo e ne sentiremo parlare”.
Poi dopo sei entrato nelle Fiamme Oro e hai avuto come insegnanti Luigi Filippella e Renato Mura. Che cosa hai appreso da loro?
“Anche sotto questo aspetto sono stato fortunato, prima di tutto perché si compendiavano a vicenda. Mura nell’allenamento era più duro e non lasciava niente al caso, Filippella invece guardava soprattutto alla tecnica. Sono stato doppiamente fortunato perchè in quel periodo si allenavano con me campioni del calibro di Giorgio Campanella, Michele Piccirillo, Renato Mastria, Genesio Marro e altri. Logicamente quando ti alleni con grandi atleti migliori e diventi bravo anche tu, altrimenti significa che sei un brocco di natura”.
Pugilisticamente come ti definivi?
“Io facevo una boxe d’attacco, non un picchiatore, ma un demolitore che manteneva un ritmo molto alto”.
Noi attraversiamo epoche diverse: come era il giovane e il pugile di allora rispetto ad oggi? E’più facile o più difficile insegnare la boxe ai giovani?
“Io sono cresciuto con un tipo di maestro che diceva -Il pugilato è per pochi-. Non è così. Lo possono fare, a livello agonistico, in pochi, perché richiede sacrificio e rinunce. I ragazzi d’oggi non hanno voglia a sottostare, a sacrificarsi e rinunciare a certe cose. All’epoca nel 1984 io per andare in palestra prendevo due autobus da Fiumicino a Dragona, per una distanza di 6 km.. Adesso per fare 6 km. abbiamo tutti la macchina o il motorino, a meno che non abbiamo la palestra sotto casa. Questa è la prima cosa che mi viene in mente e poi perché per molti fare il pugilato è una moda. Molti fanno la prepugilistica per dimagrire, per irrobustirsi. Dopo un po’ di tempo mi dicono – Voglio fare il pugile – Fare il pugile è un altro discorso – Se lo vuoi fare ti devi sacrificare, ti devi allenare e venire in palestra tutti i giorni. Devi seguire quello che ti dice il maestro-. Da me ci sono dei ragazzi, come anche in altre palestre, che vengono un mese e poi spariscono. Si avvicina il Torneo e siamo costretti a dirgli che non lo possono fare, perché si sono allenati poco, Invece prima era diverso. Io quando sapevo che c’era un Torneo non ci dormivo la notte. Stavo sotto pressione per la preparazione per due o tre settimane, mi alzavo presto la mattina per andare a correre, poi andavo pure al lavoro. Il sacrificio ti porta ad ottenere dei risultati. Dico sempre ai ragazzi che fare il pugile non è scattarsi dei selfies sul ring. Quando entrai in palestra la mia prima vittoria era di andare bene, di fare i guanti con gente valida, e se andavo bene era motivo di orgoglio e di crescita. Oggi appena entrano in palestra vogliono fare i guanti dopo 10 giorni e non sanno stare nemmeno in guardia. Oggi va di moda la prepugilistica, che è una cosa diversa. Però devo dire una cosa: grazie a noi maestri “giovani” venuti dopo “i meno giovani”, che avevano un’altra mentalità, le palestre si sono riempite. Oggi il pugilato lo possono fare tutti, su un gran numero di iscritti c’è qualcuno che può combattere, gli altri fanno parte degli Amatori, aiutano il movimento, aiutano le Società per le spese. Con questo sistema ci sono palestre più pulite, più moderne, belle esteticamente. Non era come ai miei tempi quando ci allenavamo in uno scantinato. Adesso sono le mamme che accompagnano i figli da noi”.
Approssimativamente quanti titoli hai conquistato?
“Ti dico la verità non è facile tenere il conto parlando di campionati Schoolboy, Junior, Youth e Senior. Senz’altro un numero a doppia cifra con uomini e donne: con Mirko e Giuliano Natalizi, Roberto Natalizi, Davide Cenciarelli, Marzia Verrecchia, Patrizia Pilo, Kevin Di Napoli, Nicola Baldari, Valentina Furlan Valerio Colantoni, e spero di non aver dimenticato nessuno. Abbiamo vinto due volte al Guanto d’Oro, abbiamo ottenuto vittorie ai tornei regionali ai tornei di esordienti. Tieni presente anche i professionisti, ero all’angolo di Fedele Bellusci quando vinse l’ Intercontinentale IBF a Latina, battendo Cristian Frias, titolo che difese brillantemente a Ostia battendo prima del limite David Makaradze nella centralissima piazza Anco Marzio, e quando perse il titolo in un drammatico match contro Peter Semo al Trambus di Roma.
Tu adesso stai all’angolo di professionisti tra cui Mirko Natalizi. Puoi dirmi le loro caratteristiche?
“Da me si allenano i fratelli Natalizi. Il loro padre aveva fatto pugilato proprio con la Coletta e Nardiello. Sono tutti e tre molto bravi. Giuliano ha ottenuto 5 vittorie dopo aver perso il match d’esordio. Mirko invece è imbattuto dopo 7 matches. Sono entrambi mancini, Giuliano ha un pugilato molto lineare e fa male con il sinistro, anche Mirko ha un pugilato tecnico, ma è più propenso ad attaccare e fa male con entrambi i pugni. Roberto ha esordito vittoriosamente e promette bene anche lui”.
Oggi come deve essere la figura del maestro?
“E’ una domanda “pesante” perché non sai mai come ti devi comportare. A volte sul fatto del sacrificio gli dai consigli, cerchi di comportarti da padre. Poi forse sbagli perché magari ne approfittano, e questo non va bene. Facciamo l’esempio di Mirko. La boxe gli piace, ma quando non gli va di allenarsi, non c’è niente da fare. Deve essere più inquadrato, adesso ce lo sto portando piano piano, ma non è facile. Purtroppo è circa un anno che i fratelli non combattono. Mirko doveva combattere il 27 marzo di quest’anno, poi a giugno ed era in programma anche a luglio. Purtroppo è saltato tutto per la pandemia. Speriamo di recuperare il tempo perduto”.
Oltre alla boxe hai altre passioni?
“Io vado ogni tanto a fare immersioni, così a livello amatoriale. Da un po’ di tempo vado anche in bicicletta, però mi appassiona la mountain bike. Giro e mi diverto quando ho tempo”.