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A tu per tu con Leonard Bundu
30 maggio 2017 – A New York, poco meno di un anno fa, l’emergente e imbattuto Errol Spence jr. (22), attuale campione del mondo welter IBF, avendo spodestato l’inglese Kell Brook (36-1) nella sua Sheffield, ti ha inflitto la prima e unica sconfitta prima del limite, nell’arco di una carriera tra dilettante e professionista, iniziata nel 1995. Oltre un ventennio di pugni più dati che ricevuti. Quando hai accettato quella sfida, tra l’altro eri campione d’Europa, con la prospettiva di difendere la cintura a New York contro Pauli Malignaggi, con buone possibilità di mantenerla, non hai pensato che affrontavi un talento più giovane di 16 anni, mica uno scherzo? Col senno di poi, avresti fatto la stessa scelta o proseguito per la strada europea?
“Per essere precisi ho debuttato da novizio B nel ‘92 a Prato, vincendo per KO. Alla mia età di treni ne passano pochi e sono pure velocissimi. Dovevo per forza correre i rischi e accettare qualsiasi sfida che, possibilmente, portasse verso il mondiale, la massima ambizione di qualsiasi pugile. L’europeo con Malignaggi, era saltato quasi subito. Una decina di anni fa avrei potuto pensare di aumentare l’esperienza ad alti livelli. Comunque sia, le sfide difficili sono sempre le più affascinanti. In effetti, questo Spence jr. non era certo l’ultimo arrivato, visto come ha conquistato il mondiale”.
Sei passato professionista a 30 anni, età piuttosto avanzata. Nel libro “In tensione” la tua storia, scritto da Michela Lanza, il tuo maestro di sempre Alessandro Boncinelli, detto “Bonci” che ti ama come un figlio e ti ha visto nascere e crescere, afferma di essere colui che ti ha frenato nel passaggio al professionismo, pur sapendo benissimo che eri un campione, ma ti mancava la maturità per una scelta tanto importante. Chi aveva ragione?
“Aveva ragione il Bonci. Se sono arrivato dove sono arrivato, a questa età e in queste condizioni è sicuramente grazie a lui. Potenzialmente avevo le carte in regola per emergere, ma questa disciplina richiede giustappunto tanta applicazione. Qualche anno fa ero più spensierato e non avevo la giusta maturità per ‘fare sul serio’. Tutto a suo tempo: mi sono divertito da ‘ragazzo’, lo stesso da ‘grande’ con la boxe nei pro”.
Nei dilettanti hai disputato circa 130 incontri, un centinaio di vittorie, campione italiano, bronzo iridato nel ’99 a Houston nel Texas, da superwelter, oro ai Giochi del Mediterraneo, sul podio in svariati torni nel mondo. Ai Giochi di Sydney in Australia nel 2000, hai perduto dal kazako Muneitbasov, dando l’impressione di non sentire il match. A distanza di anni, quale spiegazione puoi dare.
“Facevo la boxe per divertimento, mi riusciva bene, qualche soddisfazione ogni tanto me la prendevo e ciò mi bastava. Una sconfitta non era una tragedia. All’epoca boxavo per “hobby’, solo molto più tardi è diventato il mio lavoro”.
Eri allergico agli allenamenti robusti? Un acrobata del peso. Riuscivi a perdere fino a 8 chili nel giro di una settimana? Non pensavi che a gioco lungo avresti pagato questi rischi?
“Non ero allergico agli allenamenti. Ho sempre cercato di dare il massimo nella preparazione. Casomai, ero allergico alla dieta. Il cibo per me era, e resta, una passione. Privarmi di ciò che amavo era difficile. Non ero l’unico. Una volta sconfitto quello, per me era già una vittoria. Ripeto, per farlo bene (il pugilato) ci vuole disciplina a 360 gradi. In quel periodo non ero ancora maturo, completo”.
Nel 2004 hai provato ad arrivare ai Giochi di Atene con la Sierra Leone, la tua terra natale. In tutta sincerità, ci credevi veramente e cosa ti è mancato per farcela?
“Passavo un momento complicato. Non sapevo se continuare con la boxe o trovarmi un ‘lavoro’. Mi avvicinavo ai 30 anni. Comunque provai. La Sierra Leone usciva da una terribile guerra civile decennale, con le conseguenze che lascio solo immaginare. Non esisteva una squadra di boxe, tantomeno i soldi per mandare gli atleti a combattere . Grazie ai ‘Verdi’ del Calcio storico Fiorentino potei partecipare all’ultimo torneo di qualificazione in Botswana. Andai senza maestro, da singolo rappresentante dell’intera Sierra Leone. Ci credevo. Ma qualcosa andò storto e persi l’ultimo incontro determinante per il pass ad Atene 2004”.
Da professionista sei stato una macchina perfetta, nonostante l’età non più verde. Cintura del Mediterraneo, titolo italiano, dell’Unione Europea, Intercontinentale WBA, corona europea conquistata dopo due battaglie epiche col guerriero romano Daniele Petrucci. Sei difese, una più entusiasmante dell’altra. Hai umiliato i leoni inglesi Purdy e Gavin sui loro ring. Dando la sensazione di essere come il Chianti delle colline toscane, invecchiando migliora. Situazione confermata nell’aprile del 2016 a Firenze, riconquistando l’europeo, azzerando il finnico Jussi Koivula, portando il pubblico alle stelle. Con i complimenti di Vitaly Klitschko, nelle vesti di sindaco di Kiev ed ex supercampione dei massimi. Ospite a Firenze. A cosa è dovuto quel miracolo, durato un decennio considerato che il meglio lo hai mostrato veleggiando verso i 40 anni?
“Al fatto che pur dando il massimo, in gioventù ho tenuto una cartuccia di riserva per il futuro. Nel gergo di palestra si chiama ‘l’allenamento a buffer’. Un esempio? Se reggo 3 ripetizione sulla panca piana con il massimo del peso, mi fermo a 2. Così il giorno dopo posso sostenere un ulteriore sforzo e incrementare la forza. L’ultimo colpo, me lo sono tenuto per la parte finale della mia carriera. C’è da dire che ho sempre condotto una vita sana sotto il punto di vista alimentare e sanitari. Uno stile di vita corretto in generale”.
Tutti dicono che il Leo ha raggiunto la maturità dopo i 30 anni. Cos’è per te la maturità ?
“La maturità è quando sei consapevole del fatto che nella vita hai uno scopo, iniziato quando ho incontrato mia moglie con cui ho avuto 2 stupendi figli. Ecco, è il momento che ti rendi conto che non si scherza più”.
Hai perso ai punti con Keith Thurman, considerato il miglior welter in attività, campione WBA e WBC, rischiando il minimo. Perché contro Spencer hai accettato la guerra?
“Con Thurman ho avuto il rimpianto di non aver rischiato di più. Non volevo ripetere lo stesso errore. Ci ho provato e ho pagato. Con onore, penso”.
A Helsinki, in occasione di una sfida europea poi annullata, ti ho incontrato accanto a Giuliana, tenendo per mano André e spingendo la carrozzina con Frida. Un quadretto inedito per chi ricorda Bundu allegro pazzerellone. In occasione del Premio Rocky Marciano, che hai ricevuto nel 2016 a Ripa Teatina, hai conquistato la simpatia di tutti, sia per la disponibilità e il sorriso. Quanto merito ha Giuliana in questa trasformazione?
“Sono sempre stato uno socievole, allegro, un uomo che ama la famiglia. Giuliana idem. Con la nascita dei figli, tutto si è completato. Manifestiamo apertamente i nostri sentimenti”.
Hai mai pensato di tornare in Sierra Leone?
“Certo, manco da 26 anni. Prima la guerra, poi l’ebola e i bimbi piccoli. Giuliana e i ragazzi sono molto curiosi di conoscere la terra di papà. Ci stiamo organizzando per andarci presto”.
E’ vero che una volta truccasti la bilancia per dimostrare al tuo maestro che eri in peso, mentre eccedevi di alcuni kg.?
“Vero. Ci si pesava con la bilancia a bascula, tutt’ora nella palestra a Firenze. Mettendo una monetina sotto il ‘contro pesetto’, qualche chilo si riusciva a rubare. Il problema si presentò quando, dopo essermi pesato, dimenticai la monetina. Chi si pesava risultava almeno due chili meno. Per il Bonci fu facile scoprire il colpevole. Fui punito e finì la pacchia”.
Da alcuni anni, risiedi a Cisterna in provincia di Latina, dove ti hanno accolto con favore. Perché hai lasciato Firenze, la tua città?
“Pensavamo di avviare un’ attività con i suoceri che già vi abitavano. L’intenzione era di commercializzare i vari prodotti derivanti dal peperoncino, la passione di mio suocero e mia moglie. La cosa non si concretizzò, ma siamo sempre in tempo”.
Vista la propensione per la cucina, intesa come ristorazione. Il futuro potrebbe essere quello?
“Ci ho pensato seriamente. In famiglia se la cavano tutti bene in cucina. Sembra un classico, tanti boxeur a fine carriera aprono un ristorante”.
Ufficialmente sei ancora un pugile. In attesa della scelta definitiva, cosa fa oggi Leo Bundu? Il ruolo di insegnante di pugilato non ti stuzzica?
“Se arrivasse una chiamata importante gli stimoli non mancano. Vediamo un po’. L’altra opzione sul futuro è aprire una mia palestra, magari a Firenze . Dopo tanti anni mi sembra doveroso e logico rimanere nell’ambiente. Non solo: una palestra con ristorante annesso. Dopo una bella sudata, un meritato pasto sarebbe l’ideale conclusione”.
I figli crescono. Fanno sport? Li hai mai portati in palestra, ti hanno fatto domande sul lavoro del papà fino all’ altro ieri?
Al momento praticano pallanuoto, ginnastica artistica e altro. Se volessero fare boxe, sarebbero i benvenuti. Importante che svolgano un’attività ludica, che si divertano. Ai miei tempi il gioco si svolgeva all’aperto, per strada, con qualche rischio ma lo stesso risultato del divertimento. Oggi purtroppo dominano cellulare e Ipod. Non mi sembra il meglio per farli crescere”.
La nostra boxe professionistica fatica terribilmente a risollevarsi. L’eccezione a Firenze, dove due giovani, Mohammed Obbadi e Fabio Turchi, tengono accesa la fiamma futura del nostro professionismo.
“Mohammed e Fabio sono veramente ragazzi seri e diligenti. Fabio è completo, sa fare la boxe e picchia. Mohammed è un artista, capace di vincere spesso prima del limite. Vista l’età hanno margini di miglioramento notevoli. Aspetto di vederli sui più grandi palcoscenici”.
Il rimpianto più cocente della carriera, la soddisfazione più grande?
“Di averci messo cosi tanto a maturare. La soddisfazione? Diverse e indimenticabili. Le vittorie su Gavin e Purdy a casa loro. In particolare col secondo, che mi sfotteva dicendo che ero vecchio e mi avrebbe messo ko. Quando ce lo misi io, la soddisfazione salì alle stelle. Essere rimasto imbattuto da campione europeo, aver sentito il calore del pubblico di Firenze. Ma soprattutto la mia famiglia, Giuliana e i bambini, i suoceri Christine e Guido, Jacopo mio fratello e su tutti mia sorella Antonella, che mi ha seguito e incoraggiato sempre. Per lei avrei potuto battere anche Mayweather con una sola mano. Non voglio dimenticare i Loreni, in particolare Mario, col quale ho sempre avuto un rapporto di stima e amicizia. Grazie a tutti loro”.
di Giuliano Orlando