In ricordo di Gianni Minà

Il 2023 che ha appena iniziato il suo percorso ha lasciato già lungo la sua strada due “piccoli” giganti del giornalismo. Parliamo di Maurizio Costanzo e Gianni Minà, giornalisti e scrittori a tutto campo, che hanno primeggiato in un’era dove non era facile fare strada, per il semplice motivo che la professione della carta stampata aveva i suoi tempi, i suoi sacrifici, e la sua preparazione culturale non indifferente. Gianni Minà per certi versi non conosceva la sintesi, necessaria per l’immediatezza del “pezzo”, ma i suoi articoli erano poemi che il lettore iniziava diffidente per continuare pieno di entusiasmo. Non contavano le righe, ma il contenuto. Gianni Minà ha cominciato come collaboratore sportivo a Tuttosport e anche con la Gazzetta e Corriere dello Sport. Erano gli anni “60, quelli magici della boxe, e Gianni, così come hanno fatto alcuni giornalisti, Roberto Fazi e Teo Betti, per citarne i più noti, era entrato in palestra per provare cosa significa salire sul ring, allenarsi e “combattere”. La boxe era la sua passione, ne approfondiva i risvolti sociali e psicologici. Nel 1970 cominciò ad apparire anche nella RAI. Come giornalista fu premiato a Saint Vincent nel 1981. Diventò subito una firma contesa anche tra i quotidiani non sportivi più importanti. Seguì la boxe con una certa continuità, fu assiduo frequentatore, giornalisticamente parlando, del PalaEur, del Palaghiaccio, di San Siro, del Flaminio, dell’Amsicora. La sua sete di “potere” della materia lo portò anche in America alla Gleason’s Gym. Non fu facile sbloccare la diffidenza di Cassius Clay-Mohammed Alì nei riguardi dei giornalisti. Lui con la sua insistenza ci riuscì fino a diventarne amico. Quando Alì, ritiratosi, veniva a Roma i primi ad essere informati erano Gianni Minà e Roberto Fazi, e regolarmente si concludeva con una bella spaghettata a casa del Direttore di Boxe Ring. Sul grande campione dei massimi scrisse un best seller “Il mio Alì”. Ma rimangono ancora nella memoria degli appassionati e non un programma intitolato “Facce piene di pugni”, ben 14 puntate seguitissime.  Cassius Clay e Teofilo Stevenson potevano definirsi i prediletti. Il primo per la sua battaglia sociale e l’altro per la fedeltà alla sua Nazione “Cuba” rinunciando a una “barca di soldi”. Gianni era rimasto molto attaccato alla boxe e al suo ambiente, quando la salute e i suoi molteplici impegni lo permettevano veniva volentieri agli inviti come il “Premio Gemma”. Adesso, all’età di 84 anni, ci ha lasciato, ma nel cuore di molti lettori e di molti campioni ci sarà sempre uno spazio per lui.