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Storie di ordinaria passione: Roberto Cammarelle nel Gotha del CONI
30 giugno 2017 – ‘Non oserei mai contraddirlo’. Si potrebbe pensare questo di un peso super massimo che ha raggiunto la vetta mondiale, per ben due volte a Chicago e Milano, fino al traguardo storico di primo pugile italiano ad aver conquistato tre medaglie olimpiche, il bronzo ad Atene, l’oro a Pechino e l’argento a Londra. E lo penserebbe chi non lo conosce bene perché Roberto Cammarelle, eccellenza del Pugilato Italiano, è un gigante buono ma soprattutto aperto al dialogo ed al confronto. Una saggezza costruita match dopo match, una preparazione che si è sempre nutrita di esperienza e formazione continua, un talento che non è stato mai ostentato per rispetto dell’avversario e dei compagni. Non basterebbe un Museo intero, come quello del Pugilato da poco inaugurato ad Assisi, a contenere le sue gesta, il racconto di una passione sempre coerente ed in perfetta sintonia con i valori ed i principi dello Sport. A Milano, dopo venticinque anni di guantoni, il saluto ufficiale alle quattro corde ma non alla determinazione messa alla prova prima da Team Leader delle Nazionali e poi da Dirigente delle Fiamme Oro. Da non dimenticare i titoli di Cavaliere e Commendatore dell’ordine al merito della Repubblica Italiana. Cosa volere di più? Il giusto riconoscimento alla carriera con l’entrata, più che meritata, nella Giunta Nazionale del CONI in quota atleti.
Trentuno voti che hanno fatto la differenza ed un primato, oltre che una grande soddisfazione, per il Gruppo Sportivo delle Forze di Polizia e per la FPI. Come stai vivendo quest’ultima impresa?
Sono entusiasta. Un ruolo importante che ho realizzato solo nella prima riunione effettiva della Giunta CONI. Trovarmi al fianco di Presidenti delle Federazioni e soprattutto del Presidente Malagò e poter disquisire di tutto lo sport in generale è per me un motivo di grande orgoglio. Direi una presa di coscienza non solo di quello che sono riuscito a fare in questi anni ma anche del fatto che sono stato valutato come una persona che può servire alla causa. Sono estremamente contento e mi sto applicando affinché possa dare il mio contributo reale. Ho trovato colleghi straordinari. Nel primo incontro abbiamo parlato di un paio di argomenti critici legati ad alcune Federazioni sulle quali interverremo. Nessuno sport può permettersi di fermarsi nelle aule di tribunale o in problematiche procedurali perché lo sportivo ha bisogno di una gestione certa.
Conoscendo la tua devozione al lavoro, suppongo che ti sarai già messo all’opera per il mondo degli atleti…
Negli anni passati è stato realizzato un ottimo progetto sulla post-carriera degli atleti. Stiamo continuando a lavorare in questa direzione ed abbiamo stanziato un contributo per gli ex atleti che faranno un percorso di crescita formativo e professionale, al fine di essere reinseriti nei nostri centri periferici o nel mondo del lavoro. Un’iniziativa interessante ed utile che portiamo avanti insieme alla Scuola dello Sport, affinché eccellenze sportive non rimangano senza poter dare un contributo all’interno della propria disciplina o dello sport in genere. Importante è anche il format dedicato ai giovani che si avvicinano allo sport nel post-scuola, che prevede l’attivazione di campus specifici per invogliare i ragazzi alla pratica sportiva. Alcuni sono stati predisposti nelle regioni colpite dal terremoto, per dare un aiuto concreto. Abbiamo anche aumentato leggermente il budget destinato al Trofeo CONI, in considerazione dei quasi cinquemila bambini che vi prendono parte. Gli spunti sono tanti e sono pronto ad impegnarmi.
Un atleta come deve impostare la propria carriera?
Prima di tutto bisogna sottolineare che il successo sportivo di un atleta è anche un successo personale e che per sostenere un successo personale è necessario avere delle basi solide che solo la scuola può darti. Oggi servirebbe una cultura sportiva più forte perché non sempre l’ora di ginnastica viene vissuta come un momento di formazione. Personalmente ho praticato fin da piccolo molti sport, basket, pallavolo, calcio, tennis, e mi sono formato soprattutto negli oratori. Oggi lo sport viene praticato a livello extra-scolastico e viene approfondito un solo indirizzo. Nella Sezione Giovanile delle Fiamme Oro stiamo lavorando per offrire ai ragazzi una scelta più ampia e completa. Il primo step del percorso di un atleta, quindi, è la formazione a scuola. Il secondo è lavorare su se stesso, sviluppando la curiosità per lo sport e capire qual è la propria propensione. Dopo aver fatto una scelta, bisogna comunque continuare a praticare altri sport perché ti aiutano a liberare la mente. Arrivato ad un livello di Elite l’atleta deve vivere in funzione del risultato sportivo. Questo non significa annullare se stesso. Io ho iniziato presto a praticare la boxe e per me è stato naturale vivere con l’unico scopo di diventare un campione. Chi sente il peso della fatica e dei sacrifici ovviamente non ha dentro di sé la voglia di arrivare. Entrato nella mentalità dello sportivo, l’atleta deve poi credere in se stesso, voler vincere e fissare il proprio obiettivo personale. Da bimbo volevo diventare campione del mondo dei professionisti, lo ammetto, ma poi ho cambiato il mio obiettivo e sono voluto diventare un campione olimpico. Purtroppo non sono riuscito a qualificarmi per Sydney 2000 e così sono arrivato ad Atene 2004 con la voglia di farcela, nonostante otto mesi prima mi ero operato di ernia del disco. Andare alle Olimpiadi era già un primo passo ma volevo la medaglia d’oro. Invece sono stato battuto da un avversario più forte e motivato di me. Mi sono ripresentato quattro anni dopo in Cina ancora più determinato e sicuro, avendo vinto il campionato del mondo l’anno prima. Mi ricordo che Mario Mattioli rimase impressionato dalla mia risposta alla domanda: “quale traguardo vuoi raggiungere a Pechino?” Io gli dissi: “qualsiasi risultato che non sia oro per me sarà una delusione”. Essere campioni olimpici è meraviglioso e quattro anni dopo a Londra mi sono ripresentato con lo stesso sogno. Impresa quasi bissata ma comunque il viaggio ne è valso la pena. Soltanto il fatto di essere riuscito a qualificarmi e non benissimo, essendo arrivato sesto ai mondiali, non stando al top, mi ha fatto vivere una grande Olimpiade, seppur forse penalizzato e non favorito.
Da “Signore del Ring” a Londra hai accettato la sconfitta, con calma e self control. Qual è il segreto?
Come ti dicevo se uno ha una buona formazione alle spalle riesce ad affrontare con concentrazione e tranquillità qualsiasi situazione. L’autocontrollo e l’autostima sono poi alla base del mio sport. Il pugilato insegna la regola del rispetto che è fondamentale. Il mio maestro mi ha insegnato che bisogna accettare i verdetti senza troppe scene perché in quel momento si è giudicati. Non nascondo di esserci rimasto male sul quadrato londinese come in altre occasioni ma mi sono sempre ripetuto: ‘la prossima volta vincerò ancora meglio e convincerò di più non solo me stesso ma anche gli altri’. Non bisogna mai farsi abbattere da una sconfitta perché farebbe ancora di più validare un verdetto sbagliato. La sconfitta se analizzata e capita aiuta più di una vittoria. Bisogna trasformare l’emozione negativa di quella sconfitta nella volontà di una nuova vittoria.
Appesi i guantoni al chiodo cosa può fare un campione?
Deve evolversi, con volontà e capacità di voltare pagina e capire che inizia un nuovo percorso. L’ideale sarebbe che chi è stato uno sportivo d’elite rimanga nel mondo dello sport per tramandare valori, esperienza e professionalità alle nuove generazioni. Da ragazzino avevo l’ambizione di avviare magari un’attività con i soldi guadagnati dal pugilato ma alla fine non ho mai creduto nella riuscita di questa impresa. Anche per rimanere nel proprio mondo e ambire magari ad un ruolo dirigenziale o tecnico però bisogna studiare ed impegnarsi. Dopo l’ultimo match, sentendomi ormai maturo, ho deciso di seguire questa direzione ed ho frequentato due corsi alla Scuola dello Sport: Club Manager in Divisa, specializzato per i Gruppi Sportivi, e Club Manager delle Società Sportive. Sono diventato Team Manager delle Nazionali della FPI, presentando anche un project work piaciuto alla Federazione, e poi Direttore Tecnico del Gruppo Sportivo delle Fiamme Oro. Poi il riconoscimento importante da parte del CONI che, come ogni nuovo incarico, deve essere svolto con conoscenza e coscienza. Me lo ha insegnato il Maestro Nazzareno Mela. Bisogna essere al posto giusto ed al momento giusto ma per capacità.
Sei stato sempre fedele al ring al punto da rifiutare molte richieste da parte del mondo televisivo. Per evitare distrazioni o per carattere?
Sicuramente più per carattere. Credo di aver dato tanto a questo sport e voglio poter essere riconosciuto per lo sportivo che sono. Oggi entrando in Giunta ne ho avuto i benefici. Forse sono uno che va controtendenza ma del Cammarelle vita privata e personaggio credo che debba interessare poco alla gente quanto piuttosto del Cammarelle campione e ora responsabile di mille iniziative in ambito sportivo.
Roberto Cammarelle è…
Un ex pugile che adesso fa il dirigente sportivo ed è assolutamente contento della sua vita. Non ho rimpianti. Prima, da atleta, pensavo solo a me stesso, ora da dirigente devo pensare anche agli altri e far funzionare un team non è assolutamente facile. Agli atleti che seguo dò consigli comportamentali e, quando serve, anche ordini. Sono un comunicativo che parla poco ma anche su questo sto lavorando. E continuo ad emozionarmi di fronte ad un bel match. Poco tempo fa c’è stata la sfida mondiale dei pesi massimi Joshua e Klitschko e per me è stato un evento meraviglioso. Quando ho cominciato a fare questo sport il campionato del mondo dei professionisti era il punto di riferimento. Negli anni con il monopolio di Klitschko questo un po’ si è perso. Vedere un mondiale così adrenalinico senza saperne l’esito credo che abbia fatto bene sia ai ragazzi che vogliono avvicinarsi a questo sport che soprattutto a quelli che già lo praticano e che hanno avuto uno stimolo in più, potendo almeno sperare di arrivare a quei livelli.
Come vedi il futuro del pugilato AOB?
Veniamo purtroppo da un’Olimpiade deludente. Avevamo tutti i requisiti per fare bene. E’ mancata la convinzione mentale negli atleti e forse c’è stata una piccola carenza tecnica. Io ho iniziato a boxare a undici anni ed ho debuttato a quattordici. Tre anni di preparazione tecnica mi hanno aiutato molto. Ora si tende a mandare i ragazzi sul ring un po’ prima e correggere alcuni difetti quando ormai si è cominciato a combattere risulta sempre più difficile. Lo standard mondiale ci impone di alzare il livello. Solo chi riuscirà a cambiare otterrà dei risultati. Nonostante tutto penso che la scuola italiana possa ancora dare molto a livello internazionale. A mio parere bisognerebbe aumentare la crescita interna facendo combattere di più gli Elite, che dovrebbero disputare dieci o dodici match all’anno. Tranne gli atleti della Nazionale gli altri non fanno un volume del genere. Incrementerei anche i Dual Match, in modo che prima di un grande appuntamento si possa testare meglio la preparazione.
Hai molto da raccontare a Mattia, Davide e Nicolò. Come descriveresti il pugilato ai tuoi figli?
Gli direi che la boxe è una disciplina propedeutica alla crescita dell’uomo. Questo sport aiuta tanto perché simula la vita e unisce. E’ impressionante il senso di appartenenza alla famiglia del pugilato. E’ uno sport che poi sviluppa l’autostima, l’autodeterminazione e, al di là della coordinazione vera e propria, sapersi muovere e saper gestire la distanza è un grande vantaggio. Ai miei figli racconto sempre i miei viaggi e un aneddoto in particolare mi è rimasto impresso. Sono tornato da Rio con la medaglia di cioccolato per il più grande Mattia che ora vuole che ritorni sempre con questa medaglia. L’oro non gli interessa più. Tutto cambia, traguardi compresi.
di Michela Pellegrini