Accadde oggi: 19 aprile 1959 tra Loi e Marconi in palio l’Europa…e la noble art

 Il 19 aprile 1959 pubblico delle grandi occasioni al Vigorelli di Milano per la boxe. Capita spesso di domandarci perchè la boxe si chiami noble art. Sembra una definizione fittizia, ma chi quella sera assisteva al match tra Duilio Loi e Emilio Marconi, si doveva ricredere: “la noble art esisteva davvero” e i due pugili ne erano i grandi interpreti. In palio c’era nientedimeno il titolo europeo dei welter. Loi e Marconi si erano già incontrati tre volte (una da dilettanti) e il triestino aveva al suo attivo due vittorie e un pari. I due l’ultima volta che si erano incontrati, nel 1953 a Grosseto, avevano pareggiato e in quell’occasione Loi era il campione italiano dei leggeri. Stavolta le parti erano invertite e Loi era lo sfidante al titolo europeo dei welter, detenuto da Marconi. Il triestino aveva deciso di abbandonare la categoria dei leggeri dopo la prova non esaltante con Vecchiatto. Una cosa era certa sul ring milanese erano in azione due pugili che in fatto di tecnica e intelligenza non erano secondi a nessuno. C’era anche una situazione impietosa, per chi perdeva c’era il rischio di imboccare la “triste via del tramonto”. Loi quella sera mise in scena una delle prestazioni più eccezionali della sua carriera. Con l’aumento del peso, libero da problemi di dieta, aveva perso qualcosa nello scatto, ma non molto, in compenso aveva acquistato in continuità ed efficacia. Per ben due volte nella terza e undicesima ripresa il gong salvò Marconi sull’orlo della sconfitta prima del limite. La prima volta fu il gancio destro a determinare l’atterramento, la seconda volta il diretto destro al temine di una lunga serie al corpo. Il match entusiasmò il numeroso pubblico e quando il pubblico pensava che sarebbe finita dopo l’atterramento della terza ripresa rimase sconcertato nel vedere subito dopo Loi al tappeto su un “fragoroso” destro di Marconi. Il triestino si rialzò infuriato e dopo il VI round Marconi capì che contro quel Loi non c’era niente da fare. Il triestino attaccava con scioltezza, molto mobile altalenando sul tronco davanti ad un avversario che cercava disperatamente la distanza. Marconi perdeva inesorabilmente terreno, ma vendeva cara la pelle. Il grossetano dimostrò a Milano di avere un orgoglio smisurato, ma contro quel Loi ci voleva ben altro. Quest’ultimo dopo l’ importante successo di Milano cambiò i suoi programmi: abbandonò l’idea di incontrare Joe Brown per il mondiale dei leggeri e si concentrò su Don Jordan, campione dei welter. Arriverà comunque al mondiale con una via di mezzo nel peso, da superleggero, battendo un grande campione come Carlos Ortiz.

(alb)

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